Il mondo dei fumetti è un universo meraviglioso che ho imparato ad amare sin da piccola; da adulta ne ho scoperto un filone particolare, quello dei reportage giornalistici.
Oggi desidero parlare di una graphic novel speciale.
Sarah Glidden, facendo leva su un tratto apprezzabile e su dialoghi coinvolgenti, racconta il suo viaggio in Israele col Taglit-Birtright, l’agenzia che permette ai ragazzi ebrei di tutto il mondo di conoscere la terra di Israele in cui, per la legge del ritorno, ogni ebreo può stabilirsi.
Il libro è di facile lettura senza scadere nel banale; la sua bellezza è data dalla capacità di farci viaggiare in paesaggi meravigliosi riflettendo sulle tante contraddizioni e criticità che riguardano quella terra.
La Glidden parte con convincimenti politici ben radicati che sono alla base del suo spaesamento: lei ebrea contesta l’occupazione dei territori ma si avventura alla scoperta di quel mondo con un’agenzia verso cui avanza rimostranze e contro la quale fa resistenza per evitare il lavaggio del cervello.
Strada facendo, però, prenderà atto che vivere lì richiede di andare oltre l’ideologia; senza mettere in discussione tutte le sue convinzioni, si troverà faccia a faccia con i molteplici aspetti di un mondo che attraversa come turista e che forse non conosce del tutto.
La graphic novel dà la possibilità di leggere e vedere immagini contemporaneamente, un modo di affrontare il testo diverso dal solito; questa combinazione è ottimale non solo per bambini, ma anche per adulti che si trovano così a scoprire –o a riscoprire- un genere letterario che talvolta viene ritenuto inadeguato in età adulta.
Il fumetto non è prerogativa dell’infanzia e la graphic novel della Glidden ne è un fulgido esempio.
La terra è narrata attraverso gli occhi dell’autrice che ci regala un reportage fatto di sequenze narrative disposte in maniera ordinata; il libro scorre velocemente e cattura fino all’ultima pagina.
Per capire la geografia del paese –elemento indispensabile- ogni capitolo si apre con una cartina del percorso svolto nella zona oggetto delle descrizioni.
L’incontro con l’umanità è fondamentale non solo per l’autrice, ma anche per il lettore invitato a riflettere, proprio come fa la protagonista, sui tanti pre-concetti legati a quel mondo.
La Glidden capisce di dover accantonare la propria visione in bianco e nero per acquisirne una più sfumata che la aiuti a vedere diversi punti di vista.
Israele rifulge nelle sue diversità, nei suoi colori molto più variegati di quanto si possa immaginare.
Il conflitto davanti al quale ci troviamo è troppo complesso perché possa avere un’unica verità; la grandezza del testo è farci riflettere su questo.
Sono un’appassionata lettrice di graphic novel, questa non sarà né la prima né l’ultima che suggerirò.
Scoprire Israele in 60 giorni mi è cara perchè, oltre ad essere ben fatta, narra una terra che sento come casa mia; è fruibile per un ampio pubblico e racconta un mondo complesso con delicatezza e ironia.
S’impara con leggerezza senza scadere nel superficiale o nel già detto.
Consiglio questo libro sia a chi non conosce questa terra e desidera andarci, sia a chi già l’ha visitata e vorrebbe rivederla con uno sguardo speciale.